Il capo gabbiano. Autorità e autorevolezza a confronto
Il titolo di quest’articolo proviene dalla lettura di un libro di Travis Bradberry, presidente e fondatore di TalentSmart, dal titolo “Siete una banda di INCAPACI!” dove si racconta di una comunità di gabbiani che lotta ogni giorno per la sopravvivenza e il cui capo di tanto in tanto va in picchiata non solo per prendere il cibo ma anche per rimproverare il suo stormo alzando la voce e ponendosi in forte contrasto.
Sono eventi che accadono in tutte le aziende dove vi è un capo che non riesce più a gestire le proprie persone.
Il meccanismo di difesa, come direbbe Freud, è attuato per mezzo del rimprovero coatto, dell’innalzamento della voce e dall’accusa gratuita nei confronti dei sottoposti.
Si tratta di un meccanismo di difesa poiché in quel caso, non sapendo più che pesci prendere e non avendo a volte le competenze corrette, tende ad utilizzare l’autorità (e non l’autorevolezza) scagliandosi contro le persone che magari hanno fatto un errore più o meno grave o che magari tentano di spiegare qualcosa a chi in quel momento è cieco e sordo.
Autorità e autorevolezza due termini che sembrano contrapporsi ma che però rivelano ciò che un manager, un capo, un comandante (inteso nell’accezione latina “colui che conduce verso”) dovrebbe essere nelle condizioni di poter mettere sulla bilancia della gestione delle risorse.
Di certo un capo se è stato chiamato ad esserlo ha la sua autorità e non gliela toglie in quel momento nessuno; ma come direbbe qualcuno “gioca facile”.
L’autorevolezza è ben altro, è sapersi far rispettare senza forzature, sapersi far riconoscere nel ruolo di cui è stato chiamato a lavorare, un ruolo di responsabilità e di grande importanza; ma soprattutto è godere della stima dei propri lavoratori che possono tranquillamente lavorare sapendo di poter contare su una persona che garantisce loro fiducia e motivazione.
Quante volte capita di sentire il proprio capo sbraitare contro un dipendente.
In quel preciso momento accade ciò che non deve accadere mai, il dipendente e a ruota tutti gli altri vengono autorizzati a deresponsabilizzarsi dalle attività che quotidianamente fanno in quanto la paura di sbagliare li renderà automi sul lavoro e fuggiranno sempre da problemi senza mai affrontarli sperando che non si trovino mai di fronte al capo per qualsivoglia motivo.
Viene meno il rapporto di fiducia e la stima, si lavora in un contesto di terrore dove chi sbaglia sa già di essere messo quasi quasi alla gogna.
Il capo gabbiano quindi piomba sulle persone, sbraita per un bel po’ e poi va via senza dare la possibilità di discutere o di argomentare.
Nel libro di Bradberry, la favola riesce ad essere incisiva su questo concetto facendo parlare un gabbiano, sottoposto del capo, che dice: <<Quando tu piombi su di noi perché abbiamo qualche problema…non capisci cosa succede perché non ci provi neppure. Sei troppo preso a sbraitare per ascoltare>>.
È vero, ci sono capi che non ascoltano e pretendono addirittura di sapere, per cui è fondamentale la comunicazione che avvenga, a mio avviso, da entrambi i lati.
L’autore lancia un monito ai capi di ogni genere e tipo dicendo: “Osserva ciò che i dipendenti dicono e fanno e parla apertamente con loro del loro lavoro. L’interazione del manager con i propri dipendenti genera le risorse, le indicazioni e l’apprezzamento di cui i dipendenti hanno bisogno per avere successo. La comunicazione è efficace quando è frequente e fa ricorso a un linguaggio che tutti comprendono.”
Questo è il segreto e aggiungo anche che è fondamentale essere empatici, parlare anche di ciò che il dipendente fa nella vita privata non per essere amiconi ma per conoscere meglio chi abbiamo davanti e far comprendere che un’azienda va avanti solo perché ci sono le persone.
Come disse Richard Branson, imprenditore inglese fondatore della Virgin: “I clienti non vengono per primi. I dipendenti vengono prima. Se ti prenderai cura dei tuoi dipendenti, loro si prenderanno cura dei tuoi clienti.”