Coaching: storia e teorie

Coaching: storia e teorie

La storia del coaching potrebbe avere radici ben più lontane di quanto si possa immaginare, Socrate, nell’Atene del V – IV sec. A.C., attraverso l’utilizzo della maieutica, “l’arte della levatrice”, permetteva ai discepoli e alla gente comune di poter “tirare fuori” quanto di personale ci fosse in ognuno di loro distanziandosi dalla retorica e dell’arte della persuasione che portava ad obiettivi strettamente personali ed a volte poco leciti.

Con Socrate si assiste al primo vero Coach, a colui il quale faceva uscire il potenziale di ogni persona in maniera spontanea facendolo ragionare e progredire nel ragionamento attraverso domande e risposte atte alla soluzione del problema o del dubbio che si insinuava.

Il termine “coach” deriva da “Kochs” utilizzato in un villaggio ungherese per denominare una carrozza, esso veniva pronunciato “coach”, come l’attuale termine e più in là è stato utilizzato come termine per designare colui che guida e che orienta. In Inghilterra, nel XIX sec., il termine Coach sta ad indicare, in ambito universitario, il tutor che però aveva delle skill superiori rispetto a tutti gli altri tutor per motivi legati alla disponibilità, al modo di insegnare e alle tecniche di apprendimento utilizzate.

Nel dizionario inglese Oxford Dictionary[1], il verbo to coachè espresso come “Give (someone) professional advice on how to attain their goals, si tratta quindi di un aiuto professionale dato a chi deve raggiungere degli obiettivi, il termine, purtroppo, lascia parecchio spazio a diverse interpretazioni che vanno sicuramente incanalate seguendo lo spirito moderno del coaching.

Più avanti nel tempo il termine ha avuto sempre più un’accezione sportiva andando ad indicare l’allenatore che aiuta e motiva i propri atleti al raggiungimento di risultati sempre migliori. Tra questi allenatori troviamo il pioniere del coaching moderno, Timothy Gallwey che negli anni ’70 scrisse “The inner game of Tennis”[2], libro che ad oggi ha venduto oltre un milione di copie ed è per molti la guida di riferimento per il coaching. Gallwey inizialmente giocatore di tennis e successivamente coach sportivo          ed allenatore di tennis, ha dato una svolta decisiva alla gestione dell’Io su tutti i fronti, dallo sport al lavoro e alla vita personale. Egli, attraverso l’esperienza dello sport, ha provato su sé stesso i concetti cardini dell’attuale coaching e attraverso la sua vita, prima sportiva e poi di coaching, è riuscito a scardinare molte delle convinzioni che bloccavano un individuo nell’approssimarsi di un problema o di una difficoltà. Gallwey, oltre che ad essere uno sportivo era anche un educatore presso l’Università di Harvard (Cambridge, Massachusetts, Stati Uniti), nella sua grande esperienza di allenatore, notò come gli atleti non riuscivano a trarre insegnamenti positivi dai consigli dei propri allenatori perché si sforzavano di assecondarli (quello che lo stesso Gallwey definisce “try too hard”), per cui sottolineò l’importanza di dover prendere decisioni e problemi con ponderatezza ma soprattutto con calma; la situazione migliorava perché il giocatore aveva la piena consapevolezza del problema e vedeva da subito una soluzione. Il termine innerindicava lo stato interiore del giocatore, egli stesso confermava che “il rivale che si ha dentro la propria testa è più spaventoso di quello che si trova dall’altra parte della rete”[3]. Nel corso degli anni e a partire dagli anni ’80, molte aziende tra cui IBM e Coca Cola hanno iniziato ad utilizzare i coach per migliorare le performances dei propri dipendenti; tutto ha avuto inizio in USA tramite Gallwey e Whitmore per poi ampliarsi anche e soprattutto in Europa e poi in tutto il mondo. Negli anni ’90 si iniziarono a vedere i primi risultati del lavoro svolto nel decennio precedente e grazie a questo il coaching oggi risulta essere un metodo non alternativo ma standardizzato ed efficace che inizia la sua storia all’interno delle grandi organizzazioni ma che riscuote grande successo anche a livello personale. In Europa, i primi segnali di interventi di coaching si iniziarono a vedere intorno agli anni 2000 ed esattamente nel 2003, a Stresa venne organizzata la prima conferenza sul coaching in cui intervennero oltre 400 coach provenienti da tutta Europa. L’università di Sidney fu la prima ad istituire una materia di studio dove si diede vita all’Evidence Based Coaching, un gruppo scientifico di studio che raccoglie ricercatori, professori e coach al fine di promuovere lo sviluppo e le tecniche di coaching; tra questi vi è il Prof. Anthony Grant[4]che è globalmente riconosciuto come il fondatore del coaching psicologico, egli è altresì il fondatore nel 2000 del primo indirizzo di studio di Coaching Psicologico di cui ne è anche il direttore. Secondo il Prof. Grant, l’Evidence Based Coachingè “l’uso coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze attuali nell’erogazione del coaching ai clienti e nella progettazione e nell’insegnamento di programmi di formazione per coach”[5]

Definendo il coaching, non è da tralasciare il termine mentoring, concetto che si è innestato nel linguaggio del business la cui derivazione è riferita alla mitologia greca in cui Ulisse, lasciando la città di Troia, affida il proprio figlio Telemaco a Mentore ordinandogli di insegnargli tutto ciò che sapeva; c’è da considerare che il termine viene spesso confuso o fatto coincidere con il termine coaching, pertanto, “il mentoring, è una metodologia di formazione che fa riferimento a una relazione (formale o informale) uno a uno tra un soggetto con più esperienza (senior, mentor) e uno con meno esperienza (junior, mentee, protégé), cioè un allievo, al fine di far sviluppare a quest’ultimo competenze in ambito formativo, lavorativo e sociale e di sviluppare autostima, a livello educativo-scolastico, per un reinserimento sociale (cfr. dispersione scolastica e disagio giovanile).

Si attua attraverso la costruzione di un rapporto di medio-lungo termine, che si prefigura come un percorso di apprendimento guidato, in cui il mentor (guida, sostegno, modello di ruolo, facilitatore di cambiamento) offre volontariamente sapere e competenze acquisite e le condivide sotto forma di insegnamento e trasmissione di esperienza, per favorire la crescita personale e professionale del mentee. L’abbinamento di mentore e mentee è spesso fatto da un coordinatore mentoring o per mezzo di un supporto online. Il mentoring ha lo scopo, non solo di permettere all’allievo di ampliare le sue conoscenze, ma anche di integrarsi nella cultura aziendale e di fornirgli supporto psicologico. Generalmente è rivolto ai neoassunti per aiutarli nella fase di ingresso nell’organizzazione.”[6] Si tratta quindi di un approccio più rivolto all’esperienza di chi aiuta che cerca di trasmettere il sapere, come un anziano verso il giovane o il veterano verso la recluta, il coaching è anche questo ma non solo questo, è un metodo per cui non è necessario essere preparati sulla materia in questione, bensì ha la capacità di far uscire il potenziale che c’è in ogni persona al fine di raggiungere un determinato scopo.

Modello di Evidence Based Coaching di Grant

Nella storia del coaching, Grant ha pertanto dato il proprio contributo fondendo il principio del coaching con la psicologia, intendendo il coaching come una psicologia positiva applicata.


[1]https://en.oxforddictionaries.com/definition/coach

[2]Gallwey T., The inner game of tennis, Pan, London, 1986.

[3]Ivi

[4]Il Prof. Grant iniziò la sua carriera in psicologia a 40 anni conseguendo un Master in Scienze comportamentali e un dottorato di ricerca in psicologia del coaching. Ha oltre 100 pubblicazioni relative al coaching e oltre 5000 ore di esperienza di coaching e di ampia esperienza di consulenza organizzativa su questioni di leadership e coaching. È Visiting Professor presso la Oxford Brookes University e Henley Business School e Associate Fellow presso la Säid School of Business, Oxford University. Nel 2007 Grant è stato insignito del British Psychological Society Award per il suo eccezionale contributo professionale e scientifico alla Coaching Psychology. Nel 2009 è stato premiato con il “Vision of Excellence Award” dall’Istituto di Coaching di Harvard per il suo lavoro pionieristico nell’aiutare a sviluppare una base scientifica per il coaching. Nel 2016 ha ricevuto l’Australian Psychological Society “Workplace Excellence Award per Coaching and Leadership”. Nel 2017 ha ricevuto il “Contribution to Coaching Award” dalla Henley Business School dell’Università di Reading. Fonte tradotta dal sito: http://www.psychology.org.nz/wp-content/uploads/Professor-Anthony-Grant-workshop.pdf

[5]“is the conscientious, explicit and judicious use of current best evidence in delivering coaching to clients, and in designing and teaching coach training programs” – Grant & Stober, 2007

[6]https://it.wikipedia.org/wiki/Mentoring